il cuore di un cammino di ricerca è la condivisione: le tracce lasciate da altri, magari da luoghi lontani nel tempo e nello spazio, diventano strumenti, incoraggiamenti o consigli per noi, qualcosa di utile nel nostro percorso.
Ringrazio Savina, autrice del testo qui di seguito.
[per inciso no, non c'è nessun errore nel titolo del post:
benché i refusi siano abituali nei miei scritti, e - sia detto per onore di verità - nonostante le riletture e i controlli ortografici automatici (a volte a causa dei controlli automatici), qui non si narrano affatto epiche gesta di ortopedia chirurgica e, dunque, non si tratta del guru del ginocchio.
in questa storia il guru viene trovato, senza nemmeno averlo cercato per la verità, nel menisco, tutto qui.]
"Cara Nanà, dopo che la
risonanza magnetica aveva rilevato il danneggiamento del menisco, tutti i
medici mi sconsigliavano l’intervento perché non lo ritenevano necessario, secondo
loro bastava rinunciassi alle mie attività fisiche.
Mi sentivo sconfitta e delusa
perché non avevo avuto la capacità di fermarmi prima dell’infortunio, quando
cioè percepivo la stanchezza e il corpo mi chiedeva di rallentare. Superbamente
avevo continuato per essere come gli altri, per non perdermi nulla, ma avevo
ottenuto di sentirmi l’ultima della classe, l’allieva che non si ascoltava
nonostante gli anni di pratica.
Avevo cercato di andare
avanti in qualche modo, di continuare come se niente fosse, ma il continuo
dolore fisico ha definitivamente abbattuto ogni mio tentativo di resistenza.
A quel punto dovevo decidere
se farmi operare o no, se volevo continuare o rinunciare.
Nanà, lo sai che quando
prendo una decisione non la cambio più, ma in quel periodo ho assistito, quasi
come fossi una spettatrice, ai miei continui ripensamenti.
Con tenacia mi sono
“aggrappata” allo yoga, ma non era facile: certe posizioni non potevo eseguirle
e era frustrante, la mente era un subbuglio di pensieri e mi sembrava che tutto
perdesse di significato.
Più passava il tempo, più mi
innervosiva il mio continuo tentennare riguardo l’intervento, inoltre mi
colpevolizzavo per come stavo affrontando il problema.
Quando finalmente ho preso
coscienza che mi stavo solo danneggiando e che non potevo continuare a remare
contro corrente, ho deciso di cambiare atteggiamento, sono riuscita a mettere
in pratica la frase “sospendere il giudizio e lasciare che accada”.
Ed è stato incredibile, gradualmente
non mi sentivo più in balia delle onde, mi sembrava che la mia strada si
facesse un po’ più nitida.
Il giorno fissato per
l’intervento stentavo a riconoscermi, nessun segno di nervosismo, la mente
calma, incapace di formulare un solo pensiero. In sala operatoria ho trovato
naturale chiudere gli occhi e concentrarmi nell’ascolto interiore, mentre i
medici si occupavano di una piccola parte di me, io mi prendevo cura di tutto
il resto: mi sembrava di partecipare ad una “speciale” lezione di yoga!
Il giorno successivo,
nonostante il ginocchio gonfio, ho deciso di cominciare con gli esercizi di
riabilitazione. Ma non mi riusciva assolutamente nulla, la sensazione che
provavo era piuttosto strana in quanto percepivo il comando che partiva dal
cervello, lo sentivo scendere attraverso il busto e poi non capivo dove si era
fermato, perché si era spento da qualche parte.
Finalmente, ho notato che se
sollevavo leggermente il bacino come a mimare il gesto del ponte riuscivo nel
1° esercizio che consisteva nel piegare l'arto.
Al termine sentivo la gamba
stanca e rigida in modo assurdo, così allungando il tratto cervicale con le
mani sulla nuca, riuscivo a rilassare gli arti inferiori.
Con il passare dei giorni provavo
dei disturbi alla schiena, mal di testa e ai cervicali, così ho dovuto
"adattarmi" ulteriori esercizi, come il gesto di Brahma in versione
"esclusivamente con le gambe diritte", gli esercizi del collo appresi
con l’aikido e gli esercizi di allungamento del tai chi.
Gradualmente le mie
personali lezioni portavano non solo un benessere generale, ma rapidi miglioramenti
al ginocchio. Inoltre, lavorare con la paura di farmi male,
mi rendeva facile osservare ed ascoltare costantemente il corpo.
Avevo scoperto che potevo
limitare le medicine tenendo rilassata la gamba e mettendo il piede in linea
(altro insegnamento ricevuto per non sovraccaricare il ginocchio).
Appena è stato possibile ho
mollato le stampelle, preferivo muovermi con estrema lentezza, ma cercando di
ri-educare la caviglia al movimento completo e di ritrovare la graduale flessione
del ginocchio.
Man mano che passavano i
giorni aumentavano gli esercizi ed è sorto un nuovo disagio, un malessere che
ho risolto con l'ennesima regola imparata a yoga: ho cambiato l'ordine di
esecuzione, partivo da qualche esercizio a terra, poi raggruppavo tutti quelli
in piedi, terminavo con gli ultimi a terra per successivamente concedermi il
meritato riposo.
Nanà, non è stata una
passeggiata, ho dovuto imparare ad aver pazienza, ma mi sono presa anche le mie
soddisfazioni; pensa che ad ogni controllo, il medico di turno andava a
verificare la data dell’intervento sul computer perché, in base ai
miglioramenti, non credeva fosse quella che gli dicevo io!
Non credere però che il
merito sia tutto mio, la guarigione è stata accelerata dall'aver applicato
quanto ho imparato dalle attività che svolgo (e che i medici volevano
abbandonassi) e dalla bravura dei maestri che hanno condiviso il loro sapere
con me.
Credo di essermi riscattata
per gli errori commessi, ho acquisito maggiore sicurezza nelle mie capacità, ho
capito che dentro di me ci sono gli insegnamenti ricevuti in anni di pratica, la
sfida è ora riuscire ad applicarli costantemente."
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