"Percorsi Yoga" è una bellissima rivista tematica, redatta e pubblicata dall'Associazione Nazionale Insegnanti Yoga (YANI).
Tempo fa mi è stato chiesto un breve scritto, pubblicato nel numero dedicato a "Lo Yoga nelle relazioni di aiuto" del luglio 2014, su alcune mie specifiche (e per me preziosissime) esperienze come insegnante di Yoga.
Eccolo di seguito!
LO YOGA A MODO TUO
“Te la sentiresti?”, mi chiede.
“Certo!” rispondo.
Lei è la psichiatra del Ser.d (Servizio per le
dipendenze) dell’ASL e collabora, in particolare, con una Comunità di recupero
da dipendenze; la proposta è di insegnare Yoga proprio lì.
A fianco dei corsi “classici” di Yoga per tutti, e oltre
a seminari di approfondimento, da un paio d’anni insegno Yoga presso la Comunità
San Francesco di Monselice (Padova) a un gruppo di persone in recupero da
dipendenze da gioco d’azzardo, alcol e sostanze, che qui vengono seguiti anche
nella delicata fase del reinserimento. Il corso di yoga si inserisce nel
progetto di tutta l'équipe di sostegno composta da psichiatri, educatori e
psicologi: di frequente gli operatori partecipano spontaneamente alle lezioni,
lo spirito è stato da subito quello della più completa disponibilità ed è stata
la psichiatra stessa a chiedere ai dirigenti della Comunità di introdurre lo
Yoga per i residenti.
Da più di tre anni guido anche un corso di Yoga
settimanale presso la sede di Padova dell’AISM (Associazione Nazionale Sclerosi
Multipla). Visto l’entusiasmo dei partecipanti e i feedback positivi sulla qualità
della vita, all’AISM abbiamo tentato di dare maggiore spessore all’esperienza
cercando il supporto delle strutture pubbliche per avviare uno studio in
merito. Ci abbiamo provato, a suo tempo, contattando il Reparto di Neurologia
dell’Ospedale, ma ci fu fatto notare che i medici del reparto erano
impegnati in studi finanziati da case farmaceutiche sugli effetti di nuove
molecole, e studiare gli effetti dello Yoga non solo non avrebbe goduto dello
stesso sostegno economico, ma avrebbe potuto essere in controtendenza rispetto
agli interessi in gioco. Le mie considerazioni di seguito sono quindi
arricchite dai commenti dei partecipanti più che da evidenze scientifiche,
impossibili da recuperare.
E' necessario però rispondere a una domanda
implicita: perché scegliere di insegnare Yoga in situazioni così delicate?
Perché credo, visceralmente, che lo Yoga possa davvero
essere “per tutti”.
Non avevo dubbi sul fatto che l’esperienza, per entrambi
i gruppi, avrebbe potuto essere costruttiva se solo avessi trovato le chiavi
giuste per proporre la pratica in modo adatto; ed ero curiosa di scoprire cosa
avrei imparato, io, da questi due ambiti, così diversi tra loro, eppure simili
per la caratteristica comune di essere speciali.
In fondo, in ogni
classe di Yoga il gruppo è sempre nuovo, anche quando è composto dagli stessi
partecipanti.
Ogni giorno siamo diversi; a guardar bene, siamo diversi
ad ogni respiro.
L’opportunità di seguire gruppi speciali permette ancor
di più di accarezzare il continuo mutamento della vita.
YOGA E SCLEROSI MULTIPLA
“Lo Yoga mi aiuta a
riappropriarmi del mio corpo” (P., affetto da SM)
Entrano lentamente, sorridono e scambiano qualche parola, stanno sempre
molto attenti ai propri passi. Appaiono e scompaiono sedie a rotelle,
stampelle, tutori, come per una strana, perfida, magia.
È un gruppo di circa quindici persone con SM
diagnosticata sia nella forma recidivante – remittente, sia nella forma
secondaria progressiva. La SM colpisce ciascuno in modo disparato, con
intensità variabile e in distretti corporei differenti: è necessario tener
conto dell’irregolarità dei sintomi quando si insegna a persone tutte affette da SM.
La flessibilità nell’offrire indicazioni è una
caratteristica fondamentale dell’approccio con loro, perché ciascuno ha una
gradazione di abilità diversa da quella che aveva anche solo la settimana
precedente.
Anche il fatto di praticare con partecipanti tutta affetti
dalla stessa patologia permette loro di sentirsi immediatamente a proprio agio:
“Mi piace
moltissimo e mi serve molto. Sto insieme a un gruppo di persone nella mia
condizione e perciò non fanno domande fuori luogo come invece fa tantissima
gente che non ci conosce” (S.)
Lo spazio utilizzato è la sala del Centro Diurno della sede dell’AISM:
non si tratta di un centro Yoga attrezzato, gli strumenti a disposizione sono
tappetini e coperte, le sedie della sala e la parete.
Si lavora in cerchio, con i tappetini appoggiati al muro,
sul quale il dorso può essere sostenuto liberando dalle tensioni e dalla fatica
schiena e arti inferiori.
Trattandosi di persone che, per la
stragrande maggioranza, hanno grosse difficoltà a deambulare, proporre una
pratica in piedi, anche brevissima, risulterebbe stancante e frustrante. Le
asana in piedi possono essere adattate per essere eseguite su una sedia.
“Ho preso più
confidenza con gli esercizi sulla sedia, adesso trovo sollievo alle tensioni
delle gambe e ho notato che durante la settimana ho molta più forza ed energia”
(D.)
Tutti i movimenti che conducono a un’asana vengono scomposti in gesti
più dettagliati, più piccoli, e ripetuti con lentezza maggiore, fino a
diventare un unico movimento fluido e leggero.
Lo Yoga non cura la SM ma insegna ad appoggiare l’attenzione
sul corpo in modo costruttivo e privo di giudizio: il corpo, fonte di
sofferenza e dolore, viene riscoperto anche come depositario di elementi di
saggezza. La presenza mentale che si fonda sull’ascolto diventa la chiave per
migliorare la capacità di concentrazione e contrastare nervosismo, ansia e
depressione, elementi comprensibilmente correlati alla SM.
“Uso il respiro che ho imparato a Yoga anche
quando devo fare qualche esame fastidioso (la risonanza magnetica), che diventa
meno spaventoso” (S.)
“Mi manca ancora tanta coordinazione, anche
se guardo meno a cosa fanno le altre persone e sto bene con me stessa.
Finalmente riconosco i punti deboli, so che se non riesco con il piede
sinistro, vado più piano e a volte immagino di fare il movimento. Anche se
l’occhio sinistro non vede e si perde, dentro il mio cuore sento gli uccellini
che cantano” (A.)
YOGA IN COMUNITA’
“Tra una lezione e
l’altra ho imparato a conoscere il mio corpo in tutti i dettagli, e non solo il
corpo, ho scoperto anche la mente, dopo anni di sconvolgimento psicologico, con
yoga sono riuscito anche a rilassare la mente” (P., ex tossicodipendente)
Spesso
i singoli provengono da esperienze di dipendenze miste. Alcuni sono stati anche
in altre comunità e frequentemente, oltre alla diagnosi di dipendenza, soffrono
di ulteriori patologie psichiatriche.
Non ha importanza sapere con precisione da quale disagio
provenga ciascuno: sono lì, a provarci, lungo una strada scivolosa e in salita.
Un gruppo così ha una grande difficoltà di concentrazione,
è necessario riportare con pazienza la loro attenzione a al corpo, al respiro,
cercare di lavorare sulle sensazioni nonostante alcuni partecipanti stiano
assumendo farmaci pesanti che intorpidiscono la percezione. Si tratta di
coinvolgere continuamente, per lasciare qualche traccia da seguire.
I corpi sono contratti dal passato sregolato e sopportano
ancora gli effetti a lungo termine delle sostanze assunte; spesso sono irrigiditi
da crampi.
Nelle
lezioni una progressione di movimenti dolci portano ad esplorare il respiro,
giocare col ritmo e collegarlo alle diverse situazioni emotive. Allora si
scopre il valore del silenzio: ai primi incontri faticano a stare in silenzio, in
seguito lo cercano. Al termine delle lezioni c’è un piccolo momento più
profondo, “il gioco dell’immobilità”. Loro ci stanno, dopo un po’ i tempi
possono essere allungati e, forse, un seme germoglierà.
“La cosa che più mi è piaciuta è riuscire a
lasciarmi andare e trovare quello stato di relax e fierezza che era tanto tempo
che non sentivo, o forse non l’ho mai sentito. Non solo mi lasciavo andare ma
anche provavo sensazioni di benessere che credo erano nascoste in me.” (M.)
Alcuni
durante il soggiorno in Comunità iniziano una piccola pratica personale,
diminuiscono l’utilizzo di anti infiammatori e ansiolitici.
“Il corso di Yoga
mi è servito molto per controllare la respirazione in momenti di ansia, di
panico sotto stress. Vedo che la respirazione controllata riesce a far passare
il momento e poi non torna (l’ansia).” (R.)
UN LAVORO ENORMEMENTE PREZIOSO
In Comunità
a volte qualcuno passa a salutare, ha finito il percorso nel progetto, parte
per la sua nuova avventura.
All’AISM a volte qualcuno manca, una recidiva o un piede
posato male tengono lontani dal gruppo per un po’.
All’AISM sei felice quando tornano; in Comunità lo sei
quando vanno.
Quello che mi permettono entrambi i gruppi è enormemente
prezioso: fare quello che so fare, cioè proporre strumenti, ed entrambi mi
insegnano a staccarmi dal senso di impotenza, a sentire fiducia.
Quello che resta è la gratitudine per questo fluire,
feroce o dolce, comunque vitale.
Laura Voltolina
sei brava. brava e fortunata.
RispondiEliminaè incredibile leggere quelle frasi dei tuoi allievi speciali che hai riportato nel testo: le ho pensate e dette anche io, che speciale non sono, nel mio primo percorso di pratica, e ancora oggi che proseguo me le dico e mi dico che la strada non è mai finita.
non posso immedesimarmi del tutto in quelle situazioni, ma capisco in maniera completa ciò che hai voluto esprimere, e la tua meraviglia nel poter trasmettere (e ricevere) tanto a quelle persone.
a chissà quando
ciccio
Ciao Francesco!
EliminaSì, hai perfettamente ragione: sono fortunata, e molto, moltissimo grata per questa fortuna.
A prima o poi... :-)