a Natale 2010 sei partita
per l’India da sola e un po’ alla cieca, senza lo straccio di un piano vero e
con il solo bagaglio a mano: uno zaino quasi esclusivamente stipato di medicinali
omeopatici, allopatici, antibiotici per qualsiasi evenienza, il resto che
servirà lo troverai in loco, meglio viaggiare leggera, hai pensato, chiedendoti con quanto sforzo “conservare in luogo fresco e asciutto, temperatura
massima 18°C” si sarebbe adattato al clima locale di quell’ultimo lembo di
terra indiana prima dell’oceano.
Tra le pochissime
concessioni ad elementi estranei alla sfera farmacologica ci sono i tuoi storici
sandali rasoterra allacciati alla caviglia.
avevi previsto
medicinali per ogni sorta di probabile o improbabile attacco al tuo sistema
immunitario, ma non avevi previsto che i sandali sarebbero stati scomodi da
togliere e rimettere decine di volte al giorno, a entrare e uscire da templi,
negozi, ashram e via dicendo.
Non lo sapevi proprio (anche per via dell’assenza di un piano vero e di informazioni basilari) che, strada
a parte, in quell’angolo all’estremo Sud dell’India saresti andata in giro
scalza.
Come nel civile nord
Europa, che quando si entra in casa ci si tolgono subito le scarpe, anche se non
sei a casa tua e hai i buchi nei calzini.
Non ci avevi pensato,
eppure nella tua italianissima casa costringi gli amici di passaggio (lo
faresti anche con l’idraulico e l’elettricista se avessi il coraggio di
chiederglielo) a togliersi le scarpe all’ingresso, offrendo in cambio l’obliqua
comodità di pantofole-per-gli-ospiti comprate in saldo a un euro il paio e che
loro trovano, giustamente, inquietanti, d’inverno, o cantando le meraviglie
della libertà dei piedi scalzi, d’estate.
Insomma, dallo sbarco in
poi trascorri un tempo che valuti eccessivo ad allacciare e slacciare la fibbia
degli storici sandaletti che dall’altra parte del mondo ti sembravano
comodissimi ma qui ti diventano odiosi, minando la cifra di praticità essenziale
dell’intero viaggio.
Dopo la mezz’ora
più lunga della tua vita su un motorino indiano insieme a due amici (se non si supera il plurale di almeno una cifra, a bordo di un mezzo qualsiasi, è chiaramente uno spreco maleducatissimo) incontrati proprio quel giorno, durante la quale avete attraversato la città e siete arrivati, inspiegabilmente
illesi ma con (tuo) indiscutibile incanutimento precoce (la nonchalance degli altri passeggeri ti lascerebbe basita, se avessi fiato per notarla), alle bancarelle ai piedi del
tempio, decidi di procedere all’acquisto di un paio di infradito.
Indiane, in pura
plastica che il venditore continua a cercare di convincerti essere pelle e,
dopo un po’, inizi perfino a credergli o almeno fingi di farlo perché in India
è così, per sopravvivere essenziale e pratica a un certo punto devi tagliare
corto nelle contrattazioni.
Tanto vincono loro
comunque.
Ti provi il tuo numero,
38 e mezzo (“toh, guarda, anche in India hanno le mezze misure!”) ma facciamo
39 ché qua camminerai parecchio e l’ultima cosa che vuoi è dover ricorrere ai
medicinali (che trasporti in giro a spalla pronta ad incoraggiare, nel temutissimo
momento del confronto decisivo, i tuoi pallidi e occidentali globuli bianchi
rispetto ai nerboruti batteri virus e altre amenità subtropicali che popolano la tua fantasia) per curarti
le piaghe infette che certamente ti martorierebbero i piedi.
Il 39 ti è piccolo, però.
Invece il 40 indiano ti calza a
pennello, e a te sembra di aver capito come gira da queste parti.
Invece non avevo capito niente, ma me ne sono accorta mesi dopo il rientro, nel giorno in cui, in patria, cerco un paio di scarpe nuove, in un negozio di attrezzatura sportiva, nella mia lingua e senza possibilità, né onere per la verità, di contrattazione.
Provo il mio numero: 38
e mezzo.
Non mi entrano in nessun
modo; ma, si sa, a volte il modello calza poco…
Il commesso mi guarda
compassionevole, e dice no, guarda che non sono le scarpe.
è il tuo piede.
Allora misuriamolo, ‘sto
piede!
Caspita...mi sono cresciuti i piedi...
Anni di Yoga e piedi
dall’arco plantare contratto, che gli ortopedici della mia adolescenza
ritenevano irrecuperabili, si sono allargati, hanno preso spazio, preso terra,
mi hanno “accomodata” meglio.
Il mio nuovo numero è davvero
40, preciso.
Preciso in tutto il
mondo.
[continua, continua...]
Eheheh lo vedi che l'India in un modo o nell'altro ti dice sempre la verità? Chissà quali saranno gli altri due mutamenti... Concludo con un brindisi all'integrità della cassetta dei medicinali (quando tutti ti raccontano di essere state colpiti dal micidiale e obbligatorio bacio dell'India, be' è bello, anche se cinico, rispondere tronfiamente "Io invece no!")
RispondiEliminapiedi grandi come jambovat dopo i suoi giri....
RispondiEliminabisogna poterlo sentire bene, il suolo!!!
ciccio