mercoledì 20 febbraio 2013

le babbucce di Abu Kassem (ovvero a volte ritornano)


Questa storia inizia a Bagdad.
Non la Bagdad di oggi, tristemente sventrata da anni di guerra, ma quella delle Mille e una notte, crocevia di piste che attraversano il deserto, la città più grande e ricca del tempo.
In questa città da favola vive Abu Kassem.
è un mercante, Abu Kassem, un ricchissimo mercante tirchio: Paperon de’ Paperoni in salsa mediorientale.
Emblema della sua leggendaria taccagneria sono le sue babbucce vecchie, sporche, logore e rattoppate, riconoscibili da chiunque tra mille altre. Perfino il più cencioso dei mendicanti si vergognerebbe di andare in giro con quegli orrori ai piedi!
Quando gli si fa notare quanto siano malridotte le sue babbucce, Abu Kassem risponde, invariabilmente, che non si butta via qualcosa solo perché un po’ lisa.

Questa storia inizia a Bagdad, dicevo, nel giorno in cui Abu Kassem conclude l’affare della sua vita: compra da un mercante fallito una partita di boccette di cristallo e una gran quantità di preziosissimo olio di rosa: prevede guadagni enormi dalla vendita delle singole ampolle riempite di olio.
Decide allora di festeggiare; l’usanza di Bagdad vorrebbe che chi conclude un buon affare offra un banchetto a tutti gli amici ma Abu Kassem non ci pensa nemmeno, a far mangiare della gente a ufo sulle sue spalle!
Festeggia allora concedendosi un bel bagno nei bagni pubblici più lussuosi della città.
Nello spogliatoio comune incontra un conoscente che lo canzona per quelle schifezze che porta ancora ai piedi e che sono la barzelletta della città; incurante delle beffe, Abu Kassem lascia lì le inconfondibili babbucce e se ne va a fare le sue abluzioni.
Quando rientra in spogliatoio, sbarbato e rilassato, meraviglia!
Al posto delle sue vecchie e consunte babbucce ce n’è un altro paio: nuove, profumate, bellissime.
Abu Kassem pensa subito a un regalo di qualcuno, magari proprio del conoscente che lo ha canzonato poco prima, o a un misterioso ammiratore del suo genio negli affari.
Felice come una Pasqua, si infila senza un pensiero quelle belle babbucce nuove e se ne va a casa, fischiettando.


Il fatto è che anche il Cadì di Bagdad, che poi è il potente giudice della città, è andato ai bagni pubblici, quel giorno.
E qual è la sua sorpresa nel trovare nello spogliatoio, al posto delle sue babbucce belle e nuova, quelle logore, stracciate e rotte, indubitabilmente di Abu Kassem? Non ce ne sono due paia simili, in tutta la città...
Abu Kassem viene prelevato, portato al cospetto del Cadì, accusato e trovato colpevole di furto, dato che  indossa proprio le calzature del Cadì. 
Le sue vecchie e logore babbucce gli vengono restituite, insieme a una multa salatissima.
Abu Kassem torna a casa furibondo, macinando dentro di sé il pensiero che quelle maledette babbucce gli hanno portato sfortuna e che quindi sia, decisamente, giunto il momento di liberarsene: nella furia le getta nel Tigri, il fiume che scorre proprio sotto le finestre della sua casa.
Ora le babbucce non gli nuoceranno più! 
Trascorre la notte a travasare il prezioso olio di rosa nelle ampolle di cristallo, allineandole per bene su un tavolo e crogiolandosi nel pensiero dei favolosi guadagni che lo attendono.

Il caso vuole che i pescatori di Bagdad, all’alba, trovino nelle reti delle babbucce sporche, logore, decisamente appartenenti ad Abu Kassem. 
Rabbiosi per aver pescato quelle orribili calzature al posto dei pesci che si aspettavano, le lanciano proprio dentro la finestra della casa di Abu Kassem.
Le diaboliche babbucce tornano…ridotte perfino peggio  di quando se ne era liberato la prima volta, e, dramma, piombano esattamente sul tavolo con le ampolle.
Un disastro!
Schegge di cristallo, fango, schizzi di olio ovunque, il profumo di rosa si spande in tutta la stanza...e l’affare d’oro di Abu Kassem è in frantumi.
Abu Kassem, disperato, si strappa la barba e urla come un pazzo!
Sente che, adesso, è fondamentale liberarsi delle babbucce: "stanotte le seppellirò in giardino", determina tra sé.
Nottetempo, infatti, scava una buca nel suo giardino, seppellisce le babbucce e se ne torna a dormire, stranito dagli eventi degli ultimi giorni ma felice che le diaboliche babbucce siano, letteralmente, morte e sepolte.

Il caso (?) vuole però che il vicino di casa di Abu Kassem, col quale non scorre esattamente buon sangue, proprio quella notte non riesca a prendere sonno.
Sempre il caso vuole che il vicino sia alla finestra esattamente mentre Abu Kassem seppellisce le babbucce, e vedendo quelle strane manovre ("quello spilorcio, con tutti gli schiavi che possiede, scava da solo una fossa, per di più di notte?!? ha certamente trovato un tesoro!"), corra subito a denunciarlo.
Infatti, per la legge, il terreno e tutto quello che il terreno contiene, tesori compresi, appartiene al Califfo.
Ancora una volta Abu Kassem viene arrestato, portato davanti al Cadì, e per quanto fiato ci metta a cercare di spiegare che stava seppellendo le sue fantomatiche babbucce, nessuno gli crede: come sarebbe possibile che Abu Kassem l’avaro, il tirchio, che ha indossato ad oltranza quelle vergogne, se e ne liberi? oltretutto seppellendole in giardino?
Il Cadì gli fa l’ennesima, salatissima multa.

Liberarsi delle stramaledette babbucce diventa l'ossessione di Abu Kassem; Bagdad non è grande abbastanza, le babbucce finora gli sono sempre tornate indietro.
Quindi il giorno successivo, di buon mattino, Abu Kassem si reca verso un grande lago fuori città: lì lascia affondare le babbucce, godendosi lo spettacolo dell'acqua che le inghiotte
Quando torna in città si sente, finalmente, leggero.

Il caso (ancora!) vuole, però, che il lago in cui Abu Kassem ha lasciato le babbucce sia, in realtà, la riserva idrica di Bagdad.
Da lì a pochissimo, la città resta senz’acqua...e cosa trovano gli operai, mandati a controllare i condotti dell’acqua, ad ostruire le tubature
Naturalmente, delle babbucce; non delle anonime babbucce qualsiasi, ma proprio quelle che, lo sanno perfino i bambini, appartengono ad Abu Kassem…

Così, Abu Kassem viene nuovamente arrestato e portato davanti al Cadì. 
Stavolta la multa è salatissima: Abu Kassem perde tutto il suo patrimonio per aver inquinato l'acqua della città.
Disperato, pensa che l’unico modo per liberarsi delle babbucce della malasorte sia di bruciarle: però sono tutte inzuppate e non prendono fuoco.
Le posa allora sulla balaustra di uno dei balconi di casa, perché si asciughino al sole.

Ma il caso, che come vediamo è sempre in agguato, vuole che il cane di casa, incuriosito dalle babbucce, si metta a saltare per prenderle e giocarci.
Una delle babbucce cade dal balcone, sulla strada.
Cadendo, la babbuccia colpisce una donna incinta che stava passeggiando insieme al marito proprio lì sotto. A causa del terribile spavento, la donna purtroppo abortisce.
Il marito, furioso e costernato, denuncia Abu Kassem per incuria.
Abu Kassem viene ancora arrestato, portato davanti al Cadì, trovato colpevole e multato: ora gli viene confiscata la casa.

In preda al delirio, il mercante ride come un pazzo e, tra i singulti, riesce a formulare una richiesta al Cadì: che le sue babbucce se le tenga il tribunale.
Gli sono tornate indietro troppe volte, portandolo a perdere tutto ciò che credeva di avere.
Ora che non ha più nulla, col cuore lieve chiede e ottiene dal Cadì che quelle babbucce non siano più le babbucce di Abu Kassem e che, qualsiasi danno possano provocare in futuro, non sia addebitabile a lui.
Abu Kassem se ne va, scalzo e finalmente lieto, per la sua strada.

Questa storia mi è sempre piaciuta moltissimo.
porta a chiedersi quali siano, in questo momento, le "mie babbucce"? 
Quali sono gli schemi di comportamento (che poi sono anche attitudini corporee) che stiamo continuando ad adottare, benché ormai logori come le babbucce di Abu Kassem? 
Che danni sta causando il persistere in schemi antichi che, ormai, non sono più funzionali?
"Squadra che vince non si cambia"...ma se la squadra non è più vincente, riusciamo  ad accorgercene e a cambiare o ci siamo affezionati ai nostri schemi, così confortevoli benché inutili o, peggio, dannosi?
Se poi ci accorgiamo che le babbucce ormai sono inutilizzabili, invece di seppellirle, gettarle nel fiume, nel lago o cercare di bruciarle, non potrebbe essere sensato onorarle, dato che si tratta di una parte di noi e del nostro passato che ci ha permesso di superare alcuni ostacoli (le babbucce sono servite, in fondo, a non dover camminare scalzi, magari quando la pelle dei piedi non era pronta ad affrontare le asperità della strada)?
A volte è utile, utilissimo, l'aiuto degli altri per notare le nostre babbucce, per onorarle e riuscire, col giusto tempo, a cambiarle senza che diventi un'ossessione distruggerle, ma conservando nella memoria il valore che hanno avuto in origine.

*ringrazio Marilia Albanese, mia insegnante ai tempi (ormai antichi, sic!) della scuola di Gabriella Cella, che mi raccomandò il libro da cui ho tratto questa storia: "Il re e il cadavere", di H. Zimmer
**la prima immagine nel post è di Steve Mc Curry; per le altre immagini non so risalire agli autori

2 commenti:

  1. Ho letto quel libro su tua indicazione, con fatica e con piacere.

    La perfidia di questa storia è che le babbucce riescono a starti simpatiche proprio mentre tormentano il loro proprietario fino alla follia. Ovviamente la colpa è sua: non trova la serenità di giudizio su se stesso, sulle proprie miserie e sulle proprie fortune. Sul proprio passato.

    Ecco: sfogliamo pure il nostro libro, con serenità, valutiamo le nostre miserie e le nostre grandezze (che poi non sono mai veramente tali...) e forse riusciremo ad arrivare in fondo senza impazzire.

    Incredibilmente ho parlato di ricordi proprio stasera: in italiano con lo stereotipo del 'chi tocca muore', in inglese con il contraltare sereno e consapevole della contemplazione piena e serena del nostro passato.... forse le babbucce hanno seminato qualcosa, dentro.
    Se vuoi, questo è l'indirizzo.
    http://www.flickr.com/photos/87815745@N04/8503817679/in/photostream

    Buona notte

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  2. Grazie al tuo commento, Francesco, mi sono accorta di un errore.
    Infatti il libro che vi consigliai era, sì, "Miti e simboli dell'India", ma il racconto è contenuto in "Il re e il cadavere"; probabilmente devo averveli consigliati entrambi. Comunque l'autore è sempre Zimmer, e leggerlo è sempre ricevere una "fetta" di realtà diversa (per sapore, colore, temperatura, contenuti ecc.) da quella che si credeva di avere...

    RispondiElimina

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